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Premio internazionale di letteratura Città di Como

Copertine Libri dei vincitori (2017)

Riportiamo tutte le copertine dei libri vincitori, con una breve descrizione, della Quarta Edizione del Premio Internazionale di Letteratura Città di Como.

Sezione Saggistica:

Emilio Casalini: “Rifondata sulla bellezza. Viaggi,incontri e visioni alla ricerca dell’identità celata” (Spino Editore, 2016).

Un viaggio nato da desiderio di capire perchè l’Italia non sfrutta le grandi possibilità che ha. Il turismo è la più sana, florida e sostenibile risorsa economica del mondo. In crescita esponenziale, ma non per noi che ci accontentiamo di vivacchiare. Il turismo è lo specchio per vedere l’Italia con occhi diversi. Anche quelli di chi ci viene a trovare, quegli stranieri stupiti dalla bellezza del nostro Paese ma annichiliti dall’incuria e dalla disorganizzazione che lo caratterizza. Un viaggio attraverso i racconti di Paesi lontani, per capire quanto poca sia la distanza tra noi e loro. Tante piccole inchieste, fatte per capire perchè il sistema-Italia non funzioni come potrebbe. Tante storie di speranza, quelle di chi prova a vincere in condizioni estreme e ci riesce. Ed infine un pò di idee su come si potrebbe migliorare insieme, perchè questo libro riguarda tutti, perchè gli attori in gioco siamo noi. Prenderne coscienza è il primo passo. Cambiare il secondo. Goderne i frutti il terzo. La narrazione di noi è lo strumento più importante che abbia per ritrovare la coscienza della nostra identità. Fondata sulla bellezza. Come sarebbe bello leggerlo anche nella Costituzione.


Sezione Poesia Edita:

Andrea Leone: “Hohenstaufen” (L’arcolaio, 2016).

Hohenstaufen si struttura grazie a una tesa e sontuosa retorica che sostiene questo libro-poema dall’inizio alla fine, conferendogli un andamento peculiare capace di farlo distinguere nettamente rispetto alle scritture poetiche attuali, del saper conferirgli efficacia espressiva e persuasiva. Scritto per lo più, in versi, in un monologo, articolato in 20 parti (delle quali 3 in quella che potremmo chiamare “prosa ritmica”) che mette in scena un io che ha nel linguaggio, nella sua sintassi e nella sua articolazione sonora forse l’unico mezzo serio ed efficace per dire e per dirsi il mezzo e il luogo fondante della conoscenza.

Nell’entusiasmo disumano ammalo il diario, il palco diventato epitaffio, l’orfanotrofio furioso del giorno. Invento l’inverno maledetto del racconto, crudele delle bellezze estreme e perfette, folle delle nuove forme di morte. Muoio diventato il metronomo del mondo, nuovo come un capolavoro. Penso l’enciclopedico concerto del congedo. Calcolo lo spettacolo di chi è stato. Scrivo il suicidio del destino ossessivo millimetro dopo millimetro. Esordisco nel delirio antico, bellissimo corpo ferito, anniversario del respiro.

E in tutti i vostri sacri teatri voi siate nati


Sezione Narrativa Edita:

Enrico Galiano: “Eppure cadiamo felici” (Garzanti Editore, 2017).

Il suo nome esprime allegria, invece agli occhi degli altri Gioia non potrebbe essere più diversa. A diciassette anni, a scuola si sente come un’estranea per i suoi compagni. Perchè lei non è come loro. Non le interessano le mode, l’appartenere a un gruppo, le feste. Ma ha una passione speciale che la rende felice: collezionare parole intraducibili di tutte le lingue del mondo, come cwtch, che in gallese indica non un semplice abbraccio, ma un abbraccio affettuoso che diventa un luogo sicuro. Gioia non ne ha mai parlato con nessuno. Nessuno potrebbe capire. Fino a quando una notte, in fuga dall’ennesima lite dei genitori, incontra un ragazzo che dice di chiamarsi Lo. Nascosto dal cappuccio della felpa, gioca da solo a freccette in un bar chiuso. A mano a mano che i due chiacchierano, Gioia, per la prima volta, sente che qualcuno è in grado di comprendere il suo mondo. Per la prima volta non è sola. E quando i loro incontri diventano più attesi e intensi, l’amore scoppia senza preavviso. Senza che Gioia abbia il tempo di dare un nome a quella strana sensazione che prova. Ma la felicità a volte può durare un solo attimo. Lo scompare, e Gioia non sa dove cercarlo. Perché Lo nasconde un segreto. Un segreto che solamente lei può scoprire. Solamente Gioia può capire gli indizi che lui ha lasciato. E per seguirli deve imparare che il verbo amare è una parola che racchiude mille e mille significati diversi. Ci sono storie capaci di toccare le emozioni più profonde: Eppure cadiamo felici è una di quelle.


Sezione Narrativa Edita:

Fattaneh Haj Seyed Javadi: “La scelta di Sudabeh” (Brioschi Editore, 2017).

Sudabeh è una tipica ragazza benestante dell’Iran post Rivoluzione. Vive in una famiglia altolocata che sogna per lei un matrimonio all’altezza del suo status sociale. La ragazza però si batte per un amore impossibile, quello che la lega a un uomo culturalmente e socialmente inferiore. Mentre Sudabeh insiste nella sua passione, la madre interpella la zia, Mahbubeh, che racconta di aver vissuto una storia d’amore simile a quella della nipote. Inizia dunque una seconda narrativa, parallela, che ci riporta nell’atmosfera dell’Iran prima della Rivoluzione, all’epoca dello Shah. La storia che la zia racconta suona come monito ed è fatta di tragiche conquiste: Mahbubeh combatte per i propri sentimenti, ma il prezzo che dovrà pagare sarà alto. Ciò che ne deriva è una coinvolgente saga familiare che ripercorre le vite di un’intera famiglia lungo tutto il Novecento e che restituisce il quadro di una cultura lontana nel tempo e nello spazio, anche se mai così estranea da lasciarci indifferenti.


Sezione Narrativa Edita:

Cristina Bellon: “L’uomo che non sono” (Cairo Editore, 2016).

Una vita da travet con gli amici al bar, un’ex moglie da mantenere, uno schnauzer nero gigante e una datrice di lavoro ossessionata dal controllo. Una quotidianità priva di emozioni quella di Giovanni Tosi, quarantacinque anni, che dopo il divorzio si ritrova a vivere nel paese della campagna lombarda in cui è nato. Poco eccitante, anche se con una sua confortante monotonia. Poi, un giorno, avviene un fatto tragico. Beppe, il migliore amico di sempre, muore e Giò stordito dal dolore, si scopre terrorizzato dalla prospettiva di troppi rimpianti. È l’inizio della metamorfosi: se la vita ti manda un segnale, sta a te coglierlo. Il cambiamento comincia dall’aspetto: ritrovare la forma fisica e rivoluzionare il guardaroba è certamente il primo passo per mostrarsi al mondo in modo diverso. Poi, un calcio alla tranquillità e si apre la caccia alle emozioni forti, ai guadagni facili, alle trasgressioni. Sì, forse alcune esperienze portano con sé una dose di rischio, ma anche la possibilità di toccare il cielo. Basta non farsi troppe domande. Dall’hinterland agricolo cristallizzato sotto la brina, il pericoloso apprendistato di Giò lo trascinerà, tappa dopo tappa, in un viaggio di perdizione. Fino all’inevitabile e drammatica resa dei conti in una città del Caucaso misteriosa e violenta, per scoprire che in quel nuovo cielo non si può volare.


Sezione Narrativa Edita:

Giorgio Scianna: “La regola dei pesci” (Einaudi, 2017).

Quando a settembre riapre la scuola, il liceo Tommaseo viene travolto da una scoperta che lascia tutti senza fiato: quattro ragazzi, gli unici maschi della quinta C, sono spariti. Erano in vacanza in Grecia, ma dal 22 luglio nessuno sa più niente di loro. E mentre un funzionario della Farnesina viene incaricato di assistere i genitori nel tentativo di capire cosa sia successo, uno dei quattro torna a casa, illeso ma chiuso in un mutismo inattaccabile. Fra di loro c’era un patto, e romperlo significherebbe tradire la fiducia degli altri.
Dopo aver raccontato gli adolescenti in un romanzo che ha fatto il giro delle scuole di mezza Italia –Qualcosa c’inventeremo –, Giorgio Scianna sceglie di esplorare, senza mai giudicare, la complessa realtà di chi ha diciotto anni oggi. Perché è quella l’età in cui si prendono le misure di se stessi e del mondo, in cui la sete d’avventura si muove verso direzioni impensabili. La ribellione può assumere molte forme, tante quante sono le speranze.
«I pesci riescono a muoversi tutti insieme senza scontrarsi e senza perdere nessuno. Basta fidarsi del movimento degli altri».


Sezione Saggistica:

Giada Lonati: L’ultima cosa bella” (Rizzoli, 2017).

Mai come oggi i successi della medicina ci consentono di accarezzare l’illusione dell’immortalità. Però, anche quando saremo guariti una, cento, mille volte, alla fine moriremo. È una cattiva notizia ma è così. Succederà a tutti noi, almeno per quel che ci è dato sapere. Perché allora la morte continua a essere il grande rimosso della nostra cultura? Se prima o poi anche l’Italia avrà una legge per cui saremo chiamati a esprimere le nostre volontà in un “testamento biologico”, come potremo farlo se non siamo in grado di integrare la fine della vita nel nostro orizzonte, di riconoscerci innanzitutto parte di un’umanità mortale? Come possiamo rivendicare la libertà di prendere delle decisioni sul nostro fine vita se vogliamo ostinatamente compiere questa scelta a occhi chiusi? Giada Lonati è un medico palliativista, il suo lavoro comincia quando la medicina che guarisce è stata sconfitta, quando si dice che “non c’è più niente da fare”, e invece c’è ancora moltissimo da fare. Si occupa di accompagnare persone vive (vivissime) in quell’ultimo tratto in cui tutto cambia significato e prende senso. Quel tratto in cui irrompe una consapevolezza nuova nelle nostre vite, un sapere che getterà una luce più nitida sul nostro presente, darà una dimensione diversa al nostro tempo, ci renderà più intensamente vivi. Una sapienza che l’autrice condivide in queste pagine, ricche di pienezza umana e capaci di rimetterci in relazione con noi stessi, con il nostro essere qui e ora. Perché una speranza vera è realizzabile solo nell’orizzonte del possibile. E riconoscerci mortali e transitori, lungi dall’essere soltanto una scoperta dolorosa, può aiutarci a maturare uno sguardo rivoluzionario sul mondo, ad aprire gli occhi sulla bellezza ultima del quotidiano.

“Se anche esistono malattie inguaribili, le persone sono sempre curabili”.


Libro d’Oro dell’Anno:

Jenny Erpenbeck: “Voci del verbo andare” (Sellerio, 2016).

Richard è un filologo classico in pensione, quasi per caso entra in contatto con un gruppo di africani alloggiati in un campo profughi di Berlino. È un uomo solo, vedovo e senza figli, e ha molto tempo a disposizione; in quel luogo si scoprirà capace di ascoltare le vite degli altri, le peripezie e le vicissitudini di chi viene dal Ghana, dal Ciad, dalla Nigeria, storie di lutto, fame, guerra, coraggio e difficoltà. Nel dialogo con gli esuli Richard scorge un’umanità a tratti capace di essere innocente e integra. La sua cultura classica funge da elemento rivelatore, lo aiuta a immergersi in un mondo e in una diversa visione del mondo, a confrontare valori a volte contrapposti. L’antichità e la modernità, l’universalismo e l’interesse individuale, il difficile bilanciamento tra gli ideali e la sopravvivenza.
Gli uomini a cui pone le sue domande sono riusciti ad arrivare a Berlino nell’autunno del 2013, dopo essere sbarcati a Lampedusa. Sono quattrocento stranieri in terra straniera, e tutto per loro è diverso, difficile, alieno. Prima si accampano in una piazza del quartiere Kreuzberg per chiedere aiuto e lavoro, ma la polizia non perde tempo, li sgombera e li ricovera nella zona orientale della capitale. Vitto e alloggio, una prima conquista, e poi un corso per apprendere la nuova lingua. Ma per loro, come per quasi tutti quelli che sono scappati dai paesi di origine per approdare in Europa in cerca di un rifugio e di una casa, la normalità è una conquista difficile. Prima di tornare a vivere si annuncia un’attesa di anni.
Jenny Erpenbeck, tra le più interessanti e innovative scrittrici tedesche contemporanee, non teme l’ambizione dell’analisi politica, della denuncia sociale, e riflette con un romanzo completamente immerso nel presente, quasi al limite della cronaca, del reportage letterario, sui contrasti paradossali della nostra epoca, l’opposizione tra ricchezza e indigenza, libertà e asservimento, tra la cancellazione delle culture e il disegno di una nuova identità.


Sezione Poesia Edita:

Sebastiano Aglieco: “Compitu re vivi” (Il ponte del sale, 2013).

Attraverso archetipi potenti (i bambini, il sangue, i morti, il padre) l’autore compie un grande viaggio negli abissi dell’anima, un viaggio a tinte accese e vampate di colore, dove uomini, animali e piante diventano portatori di sapienza e vengono profondamente interrogati.

Dono è restare qui
comunque qui, nell’attesa
del nome.

La fiamma si accende fortemente
poi scendono le parole nelle 
foglie, appese come attese alla 
mia lingua.

Scelgo questa forma
per la promessa dei giorni
qualcosa di solido che non svaria
torri di vedetta al confine del cuore
contro il male che non ha dolore.


Sezione Poesia Edita:

Gian Mario Villalta: “Telepatia” (Lietocolle, 2016).

Un libro sinfonico, una costellazione di temi e di simboli, un viaggio appassionato nelle terre del Nordest, nelle strade dei maestri, dei figli, degli antenati, nella saggezza dei cieli e degli alberi, con un forte senso civile e l’esigenza assoluta di una nuova comunità.

Perdere il dolore
a volte è perdere tutto. Per questo non rinuncia
all’umiliazione di sentirsi dire che non lo vuole.
Adesso sa ancora chi è. Dopo c’è solamente,
dove dovrebbe
ricominciare, il niente.


Sezione Poesia Edita:

Giovanni Ibello: “Turbative siderali” (Terra D’Ulivi, 2017).

Libro acceso e visionario, pieno di invenzioni e di imprevisti che mostra una Napoli reale e insieme fantastica, attraversata da una vorticosa energia notturna e dalle fiamme del sogno, un’energia cosmica che dilaga nel mondo e arriva fino al cielo.

Di quello che sognavi veramente
non resta che un silenzio siderale
una lenta recessione delle stelle
in pozzanghere e filamenti d’oro,
il riverbero delle sirene accese
sui muri crepati delle case.
Così dormi, non vedi e manchi
il teatro spaziale delle ombre.
Il desiderio è l’ultimo discanto.
Ma quanti gatti si amano di notte
mentre l’acqua scanala nelle fogne

Non scrivo di silenzio, ma di vuoto.
Scrivo dell’acqua mentre scola
in un reticolo di nodi e feritoie.
Perché è sempre un discorso
sul venire meno
sul recalcitrare delle ore,
la canzonatoria
delle parole.
Penso al mare sfigurato
dalle scie dei mercantili
cinesi.

Basta canzoni d’amore

Hai sognato lo scisma dei santi
il mistero della cernia ermafrodita.
Hai sognato
la vergine delle dune
e aceto per le antilopi erranti.
Quando ti vedo dormire
la notte profuma di arance.


Sezione Saggistica:

Alessandra Trevisan: “Goliarda Sapienza. Una voce intertestuale” (La vita felice, 2016).

ibro che raccoglie la voce di Goliarda Sapienza, autrice della letteratura italiana del Novecento, il cui nome tuttavia ha iniziato a circolare postumo. Il lavoro della Trevisan, frutto di anni di ricerca intorno alla complessa figura della scrittrice siciliana, tocca e attraversa tutte le voci di Sapienza: dal teatro al cinema, dalla poesia alla prosa, dai diari ai taccuini. Ripercorrendo la biografia di Sapienza tracciata grazie a documenti inediti, ed entrando poi nei testi si ritesse la trama di un’esistenza plurima, vitale e libera, presentata seguendo un itinerario artistico che trova fondamento nella “voce” come “strumento primo” di scrittura.


Sezione Saggistica:

Elena Rinaldi: “Einstein e associati” (Hoepli, 2017).

Chi erano i matematici che hanno lavorato con Einstein o i cui lavori hanno permesso la formulazione della teoria della relatività? Cosa sono le geometrie non euclidee e i tensori?
Lo stesso Einstein più volte scrive nelle sue lettere che non sarebbe riuscito a completare il suo lavoro, costato “fiumi di sudore”, senza l’aiuto dei matematici che l’hanno preceduto e che l’hanno aiutato a correggere gli errori nella sua prima formulazione. Senza la scoperta di nuove geometrie da parte di Gauss e Riemann non potrebbe esistere l’idea di uno spazio curvo; senza i lavori di Ricci e Levi Civita la fisica non avrebbe potuto superare la teoria newtoniana.
Viaggiando attraverso i concetti astratti della matematica si scopriranno alcune delle vite curiose dei protagonisti del pensiero scientifico del Novecento.

Sezione Saggistica:

Mario Del Pero: “Era Obama.Dalla speranza del cambiamento all’elezione di Trump” (Feltrinelli, 2017).

Da subito, l’elezione di Obama è apparsa come uno dei grandi eventi del nuovo millennio e il racconto è immediatamente diventato leggenda, l’uomo un’icona globale. A febbraio del 2017, Obama diventa un ex presidente: è giunto il momento di guardare alla sua figura e al suo operato… E, soprattutto, valutare l’intero arco della presidenza a partire dalla sua conclusione: il passaggio di consegne con Donald Trump. Mario Del Pero ci guida alla scoperta di un’amministrazione di cui crediamo di sapere tutto, ma che in realtà resta tutta da studiare e da interpretare.


Sezione Teen:

 Alessia Tagliabue: “Passione e ragione” (Angolazioni).

La vita di una regina di Francia alla corte di Versailles del Settecento non è facile: fra nemici e tradimenti, l’astio del popolo e una madre prepotente, la giovane Jean-ne ha visto la sua vita sgretolarsi. Ma nel cuore di una regina c’è posto anche per altro. Cosa prevarrà? La ragione di restare a Versailles o la passione per un giovane duca che le ha rubato il cuore?


Sezione Reportage:

Maria Rosaria Iazzetta: Il paese dei gelsomini. Viaggio fotografico in Birmania” (Europa edizioni).

Birmania, perla dell’Asia, meta di un viaggio che può segnare profondamente il corso di una vita. È l’esperienza di Maria Rosaria Iazzetta, viaggiatrice equipaggiata di fotocamera, coraggio e stile. Se i contrasti sono estremamente marcati, tra bancarelle di pesce essiccato dall’odore nauseante ed improbabili caramelle che producono una saliva rosso sangue, la sensibilità di chi viaggia è l’elemento che permette di accettare la cultura e lasciarla entrare in sé passando attraverso tutti e cinque i sensi. Scorci, profumi, suoni, sapori e scoperte sono gli ingredienti con cui realizzare un viaggio che riesce a ripiegarsi su se stesso per convogliare l’attenzione su ciò che si prova anziché solo su ciò che si vede. È così che si risveglia la spiritualità, in un luogo in cui l’ispirazione del Buddismo sembra promanare anche dai fili d’erba, mentre le placide acque del celebre Lago Me possono diluire e dissolvere grumi di pensiero che non sappiamo neanche di avere.

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