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Premio internazionale di letteratura Città di Como

SCRIVERE, IL FASCINO DI UN VIAGGIO

Riportiamo un interessante articolo scritto dal Dott. Giorgio Albonico e pubblicato in data 16 novembre 2015 sul mensile MAG della Provincia di Como:

 

SCRIVERE, IL FASCINO DI UN VIAGGIO

Trovo non sia vero quanto si sente spesso ripetere e cioè che tutti scrivono e nessuno legge. Diventa un avvertimento come a dire: è inutile farlo tanto poi nessuno legge.
Comunque è vero che vengono prodotti da parte dell’editoria innumerevoli libri e il motivo magari potrà essere argomento di un prossimo articolo. Cerchiamo invece di capire perché oggi così tanti sentono l’urgenza di scrivere e cosa significhi farlo.

Kapuscinski ne fornisce una interpretazione nel suo libro “In viaggio con Erodoto”. Dice che si scrive perché sapendo che la memoria è debole e poco duratura, si vogliono fissare i contenuti del proprio modo di essere, della propria esistenza sulla carta per farli divenire duraturi e meno soggetti al capestro del tempo, anche nella convinzione che scrivere sia facile. In realtà come diceva Thomas Mann “lo scrittore è colui che fa più fatica degli altri a scrivere.”
Senza poi scomodare una scienza come la memetica che ci dice che l’uomo necessita di spargere attorno a sè anche una sua unità psichica che viene chiamata meme e come il gene per quella biologica, ha necessità di essere trasmessa.

Il meme sarebbe un contenuto di pensieri, di idee, di valori veicolato in un mezzo come un libro e diventa il modo di esprimere un bisogno fondamentale: la trasmissione e la conservazione di qualcosa di interiore.
Tuttavia penso anche che scrivere sia uno dei pochi mezzi a noi consentiti per vivere più di una volta la nostra vita trasportandola in quella di coloro che immaginiamo nelle nostre elaborazioni e che lo scrivere consenta anche di compiere un viaggio sia nel tempo qualora,ma non solo, si scriva qualcosa di storico sia nei luoghi,perché i romanzi,i racconti sono spesso ambientati in paesi differenti e a volte lontani.
Tutti vogliono scrivere coltivando la speranza che non ci sia la condanna alla dimenticanza ma si possa entrare anche subito o un giorno lontano nella vita degli altri, perché a volte un libro ti può rimanere addosso per tutta la vita.
Tuttavia lo scrivere non serve per elencare o parlare di sé ma per divenire felici e comunicare agli altri stupore perché si racconta un qualcosa che solo tu puoi raccontare; significa partire per un viaggio senza niente e nessuno. Sei solo: non hai bisogno di finanziamenti né di collaboratori. Con un computer o una penna e pochi fogli vai per mondi sconosciuti e a volte li costruisci. Scrivere è inventare.

Salgari non andò mai in Malesia ma la descrisse come forse nessun altro. Non è necessario che lo scrittore conosca i luoghi che descrive perché essi sono dentro di lui, perché i luoghi sono mentali. Lo scrittore non è un geometra, non fa sopralluoghi, non gli servono e tutte le storie gli stanno dentro un luogo indistinto, una specie di iCloud, una nuvola da cui emergono di tanto in tanto.

Chi scrive pensando a un possibile successo, al conseguire fama o cose del genere va incontro, nella quasi totalità dei casi, a enormi delusioni.
Scrivere è un modo per conoscersi e conoscere gli altri e al di là di questo non bisognerebbe mai andare attenendosi a quello che diceva Maugham dei propri scritti : “non mi occupo di quello che scrivo,una volta esaurito l’impulso a farlo,me ne disinteresso completamente.”
Scrivere libri e romanzi in particolare significa quindi tentare di raggiungere qualcosa non certo la fama letteraria che arride a pochissimi, ma un qualcosa che è differente per ognuno di noi. Ognuno sviluppa in sè quello che vuole ed è inutile che lo comunichi perché chi scrive parla con quanto ha scritto e di rado in altro modo.
Scrivere non è fare un riassunto o esporre la propria vita, scrivere è narrare mettere cioè altra vita in quella che hai vissuto creando situazioni e personaggi che vengono fuori da un territorio interno poco esplorato.

Narrare è come sognare. Nel sogno si mettono in moto forze profonde e spesso non comprensibili.

Poi è anche vero che chi scrive mette molto di suo anche se cerca di nasconderlo perché “Madame Bovary c’est moi”, diceva Flaubert.

Ho poi una mia teoria in merito.
Penso cioè che quello che si scrive esista già dentro di noi da qualche parte e che in un certo senso chi scrive lo faccia sotto dettatura esprimendo un qualcosa che di tanto in tanto viene fuori e deve essere solo trascritto e messo in bella copia.
Comunque oggi si assiste ad uno strano fenomeno che è quello che un libro mentre l’autore pensa possa vivere per un tempo indefinito, in realtà dura solo lo spazio di pochi giorni come se fosse un articolo di giornale. Persino Montanelli diceva ,con amarezza, che quanto scriveva di mattino moriva la sera stessa e il giorno dopo nessuno se ne ricordava più.
Unitamente al fatto che il libro dona all’acquirente consumatore il classico piacere perfetto dell’acquisto perchè molto spesso gli fa pensare che averlo acquistato significa anche averlo letto, ma il che non è vero.
Molti scrivono come si diceva. Credo che il motivo sia anche da ricercare nel fatto che oggi l’istruzione scolastica è migliorata e quando si scrive si fanno meno errori. Non credo al luogo comune che dice che i più giovani non conoscono l’ortografia, che abituati al linguaggio elettronico siano solamente capaci di sterili appunti e non sappiano costruire una frase. Non è così.
Poi a mio avviso il computer aiuta molto perché fa apparire la pagina più nitida e diviene più facile correggere il testo e soprattutto salvarlo impedendo che si perda. Quando non c’era la videoscrittura e si scriveva solo a mano o con una portatile, era molto più facile smarrire quanto con fatica si era scritto.
Si sostiene inoltre che chi scrive deve leggere molto. Si, una buona lettura di altri autori di sicuro aiuta ma non è fondamentale altrimenti non si spiegherebbe perché esistono casi di autori eccelsi che poco hanno letto. Basti poi pensare al fatto che i critici letterari, i professori universitari, gli accademici che per vincere una cattedra si spera abbiano letto e studiato molto spesso scrivono in modo convoluto e decisamente male.
E poi quando decidono magari di scrivere, un romanzo lo fanno in modo noioso.

Certo la scrittura è allenamento ma non solo e magari oggi si potrebbe anche dire che scrivendo si impara anche a leggere, ribaltando il concetto.
Scrivere significa infine ritrovare il nostro tempo vero. Quello che ci scorre dentro, che non si misura con l’orologio con l’entro e non oltre inventato da quei personaggi che hanno creato l’attuale disastro burocratico e normativo. La scrittura e la poesia non servono per compiacere o per aumentare le relazioni sociali, non servono a salvare nessuno ma senza di loro nessuno si salva, perché è defunto prima di esserlo davvero.
Dicevamo che iniziare un romanzo è come partire per un viaggio.

Non sai dove arriverai, non sai bene chi incontrerai nel tuo percorso anche se lo immagini in qualche modo, ma alla fine ti trovi arricchito perché hai imparato tante cose su di te e sul mondo che ti cambiano e ti fanno trovare la tua reale voce, la tua verità.

E solo questo conta.

– Giorgio Albonico –

 

 DA MAG – IL MAGAZINE DE LA PROVINCIA DI COMO – NOVEMBRE 2014 N.65

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