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Premio internazionale di letteratura Città di Como

dacia e l'incontro

Cara Dacia ti scrivo…

Dal laboratorio di scrittura del Liceo Volta:

Ai margine dell’incontro tra gli studenti del Liceo Volta e Dacia Maraini, che ha avuto luogo Sabato 7 ottobre nella Grand’Aula del Liceo, pubblichiamo alcuni risultati del Laboratorio di Scrittura organizzato dalla prof.ssa Marina Doria, nel quale i ragazzi sono stati  invitati a scrivere una lettera alla scrittrice.
Sono ragazzi giovanissimi, solo diciassettenni, che hanno saputo tuttavia cogliere la ricchezza del confronto con una testimone della memoria storica del Novecento. Buona lettura!

Cara Dacia,

ho avuto grande piacere ad ascoltare il suo intervento sabato scorso e su molte delle sue opinioni mi sono ritrovata d’accordo.

In particolare nelle sue risposte riguardo al femminismo ho percepito in lei la forza di chi ha combattuto per la propria emancipazione, per affermarsi in un mondo guidato da uomini  in cui esistono ancora molti pregiudizi.

Il fatto che sia riuscita a vincere le sue battaglie, ad essere considerata un’ icona del Novecento letterario italiano, suscita in me una grande ammirazione, perché guadagnarmi l’ indipendenza è esattamente quello che voglio fare nella vita, sia nel campo lavorativo, sia in quello sociale, sia in quello economico. Mi piacerebbe un giorno essere in grado di ribellarmi completamente alla società basata sull’apparenza che, come ha detto lei, sminuisce la persona in quanto non la comprenda nella sua interezza. Questo spunto di riflessione mi fa pensare alla scuola, dove spesso le persone sono ridotte a voti, meri numeri capaci di farci sentire inferiori (o superiori) agli  altri, di renderci insicuri, di renderci ansiosi; sinceramente non mi dispiacerebbe ribellarmi anche a questo. Ci sto pensando da sabato e la devo ringraziare davvero, perché ora capisco meglio alcune situazioni.

Mi piacerebbe però capire qualcosa di più sul tema della cosiddetta morte delle ideologie: mi considero una femminista (quale ragazza non si considererebbe tale?), sono giovane, ho voglia di far sentire la mia voce:  com’è possibile che l’ ideologia del femminismo non esista più? Sono sicura che siamo in tante a pensarla così.

Un’ altra delle sue risposte che mi ha particolarmente colpito è stata quella a proposito  dei luoghi dell’ immaginazione, i luoghi letterari che fanno parte di noi nonostante non li abbiamo mai visitati. Anche su questo ho riflettuto, sul fatto che la lettura permetta di viaggiare nel tempo e nello spazio, sul fatto che al giorno d’ oggi molti preferiscano navigare in internet piuttosto che immergersi in un  libro,sul fatto che non si trovi mai il tempo di compiere questo viaggio immaginario. Mi sono chiesta se lei sentisse la necessità di vedere quei luoghi anche nella vita reale, perché per esperienza personale credo che a volte sia meglio tenerli in una sfera immaginaria:  forse perderebbero un po’ della magia che aleggia intorno ad essi nei libri che più amiamo se li visitassimo davvero. Qual è la sua opinione a proposito?

Come ormai avrà capito l’ incontro del 7 ottobre mi ha fornito diversi spunti di riflessione, e credo di poter dire con certezza che mi ha arricchito. Sarebbe bello avere un’ altra possibilità di confronto come quella.

La ringrazio per averci donato un po’ della sua esperienza e saggezza.

Un caro saluto

Alessandra Walter

 


Cara sig.ra Dacia Maraini,

 

le scrivo, ammetto, con un po’ di paura: non per quella reverenza formale che si prova davanti a un superiore, ma per quel misto di ammirazione e rispettoso timore  che suscita in noi chi, in un modo o nell’altro, ha preso parte alla Storia. Ma, come lei ha detto pochi giorni fa venendo nella mia scuola, nel leggere come nello scrivere creiamo un ambiente, un luogo letterario tutto per noi; spero allora che questa lettera possa essere lo spazio accogliente del nostro incontro, da cui tenere lontano ogni imbarazzo.

Forse si ricorda di me, seduto in primissima fila, con un quaderno sulle gambe, intento a registrare fin troppo devotamente ogni sua frase. Ah, giusto, io sono Andrea. Ci tengo a precisarle il mio nome; d’altronde è stata proprio lei, durante l’incontro di pochi giorni fa, a chiedercelo prima di ogni nostro intervento, nell’intento, come penso, di voler instaurare con noi innanzitutto un dialogo tra persone. Quanto potere hanno le parole! Con un nome, con un brevissimo insieme di sillabe, riusciamo a distinguerci come individui, e allo stesso tempo a sentirci più vicini come uomini. Mi ha sempre affascinato il linguaggio, che è in grado di creare, distruggere, unire o dividere, attraverso un sistema di simboli e convenzioni, complesso e allo stesso tempo naturale, o addirittura inevitabile per l’uomo.

Ero completamente immerso nel prendere appunti quando ho visto sul mio foglio il suo discorso prendere forma: stava parlando della nostra lingua. In quel momento migliaia di possibili domande mi sono passate per la testa, accavallandosi confuse, ma alla fine ho scelto di chiederle semplicemente questo, una richiesta più che la soluzione di un dubbio “Come facciamo a difendere l’Italiano, che sempre più si sta appiattendo e che sembra quasi incapace di adattarsi alle richieste del web, che esige la nostra reazione scritta e la esige subito?”.

Purtroppo devo convenire con lei che l’immediatezza dei mezzi di comunicazione rischia pian piano di erodere il potenziale dell’italiano: dico purtroppo perché anch’io spesso mi adeguo ai canoni distorti di questa comunicazione che non lascia tempo alla riflessione. Ecco, io non vedo tanto in quel “servilismo” linguistico nei confronti dell’inglese, da lei denunciato, il maggiore problema, quanto in un frenetico sistema che ingurgita le nostre parole prima ancora che vengano formulate e vagliate dentro di noi. Lei da scrittrice può ben capire quello di cui parlo: quando leggo un libro immagino sempre tutti gli invisibili pensieri dell’autore che sono andati a riempire il millimetrico spazio tra una riga e l’altra.

Ma perché ci stiamo adeguando a questa svendita del linguaggio? Spesso mi trovo a scorrere sul mio cellulare le centinaia di commenti che ogni giorno vengono scritti sulla rete da persone comuni, da amici o sconosciuti, e finisco per essere nauseato dalle scempiaggini che trovo scritte. Eppure basterebbe così poco, basterebbe prendersi qualche istante per pensare, per decidere che forse non ne so abbastanza per esprimere il mio parere, o che semplicemente ho bisogno di informarmi, di capire meglio; questa a mio parere è la vera deriva del linguaggio e della comunicazione.

Ma come ho espresso nell’incontro a Scuola, desidero che il suo intervento divenga occasione almeno per tentare di andare contro questa tendenza, e decidere di voler usare la nostra lingua, e non di abusarne. Con uno spirito forse fin troppo utopico (d’altronde sono pur sempre un ragazzo) voglio far partire da me questo cambiamento con un impegno semplice quanto difficile da mantenere: amare la parola e darle importanza. Ma non posso né devo accontentarmi che questo tentativo di resistenza resti accolto solo da pochi e inascoltati ragazzi. Rilancio allora a lei, signora Maraini, la sua stessa sfida, a lei e agli altri scrittori, agli insegnanti e sì, anche a chi fa spettacolo e politica; perché non si adeguino mai allo svilimento del linguaggio a cui stiamo assistendo, che è poi svilimento del pensiero e del dialogo. Sono convinto che esistano tanti giovani che saprebbero accogliere questo cambiamento controcorrente se solo avessero un vero punto di riferimento.

Resto speranzoso, perché è questo ciò che lei mi ha trasmesso: speranza e voglia di cambiamento. Spero che lei continui a voler parlare con noi ragazzi, e che abbia sempre voglia di educare, perché con l’educazione, ne sono convinto, si può ancora cambiare la mente ed il cuore delle persone.

Mi auguro di sentirla sempre combattiva e che non venga mai meno quella fiducia che lei ha mostrato nei nostri confronti.

La saluto con stima e gratitudine

Andrea Luisetto

 


Cara Dacia,

vorrei innanzitutto ringraziarla: l’incontro di sabato, seppure troppo breve per contenere le molte domande che suscita il confronto con una delle grandi scrittrici del Novecento italiano, ha aperto molte vie di riflessione su temi attuali e importanti anche sul nostro piano personale, di ragazzi e ragazze che crescono in un mondo sempre più complesso.

Ho trovato bellissimo l’intervento sulla società contemporanea in relazione soprattutto al ruolo e al significato del femminile. Una società che lei ha definito “del benessere”, una società di mercato basata sulla seduzione, in cui tutto può essere venduto e comprato e la strumentalizzazione del corpo, in particolare di quello femminile, è la più grande forma di schiavitù. Non si soffre più la fame, ma piuttosto la perdita di sacralità del corpo e della persona umana: tutto può essere sfruttato, barattato, banalizzato. E questa tendenza si riflette nella fine delle grandi ideologie novecentesche. L’uomo del nostro secolo preferisce chiudersi nella propria individualità, nella sfera privata, non si riconosce più nella politica, trasformata in mero gioco di potere; anche il mondo intellettuale si è frammentato, senza l’elemento cogente e di forte progettualità dato dall’ideologia. Anche il femminismo inteso come massimo sistema è ormai morto, ma ha lasciato una grande eredità al mondo occidentale: la libertà dai pregiudizi maschili,  ma anche e soprattutto femminili, la fine dell’antagonismo tra donna e donna.

Lei ha anche affermato l’estrema importanza della rivoluzione. Anche se può finire male, o essere fraintesa, o manipolata e trasformata in ciò che non voleva essere, essa è fondamentale: nonostante il fallimento, ogni  nuova idea   resterà nel tessuto sociale e nella memoria storica di un popolo. Ha fatto riferimento alla Rivoluzione Francese e alla Rivoluzione di Cristo, che hanno formato la base della nostra società occidentale: il concetto di “libertè, egalitè, fraternitè” e la storicizzazione della Bibbia rappresentano  ciò che maggiormente ci distingue, per esempio,  dal mondo islamico e orientale. Il movimento femminista ha messo in discussione l’androcentrismo e ha posto una fine alla demonizzazione e al disvalore della donna.

Alla luce di queste riflessioni, la mia domanda è: su quali basi un ragazzo di oggi può arrivare ad affermarsi come persona e all’interno di una società, in che cosa potrebbe credere in un mondo che ha perso qualsiasi punto di riferimento fisso, in cui tutto è fluido, scorre, cambia, dove nulla ha una base solida e il futuro è più che mai un’incognita, una mosca cieca nella nebbia dell’Incertezza?

Il problema più attuale è la riscoperta della propria identità come persona e anche come popolo, di fronte a fenomeni come la globalizzazione e l’immigrazione. E’ necessario ritrovare il senso di sacro, una “spiritualità”, il rispetto per qualcosa: oggi che ognuno è libero di credere in ciò che vuole, nessuno crede più in niente.

Lei, che ha vissuto la fame e la sofferenza della guerra e della prigionia, il dopoguerra della rinascita e del boom economico, delle grandi ideologie e del brillante mondo intellettuale che si riuniva nei caffè e infine la società di mercato degli anni Duemila, come potrebbe rispondere a queste domande? In che direzione pensa che andrà il mondo? E come possiamo orientarci nel futuro?

La saluto e la ringrazio,

Benedetta Bianchi

 


Cara Dacia Maraini,

Le scrive uno dei tanti studenti che ascoltavano, attenti e allo stesso tempo emozionati, le sue sensibili e precise considerazioni sulla nostra attualità.

Di tutti i suoi pensieri, un concetto particolare mi ha colpito profondamente; un principio che, forse erroneamente, ho trovato disseminato in ogni sua singola frase. Mi riferisco alla critica di una percezione dogmatica della realtà, che impone una visione edulcorata e sminuita delle ingiustizie e disuguaglianze ancora presenti nel nostro tempo. Questa asserzione non è per niente scontata; sono sempre di più gli individui che la considerano falsa e banale e sempre di meno gli intellettuali che osano dichiarare apertamente chi siano i veri colpevoli della degradazione della società globale. E’ di gran lunga più semplice tacciare i popoli di ignoranza piuttosto che attaccare l’espansione assolutistica del mercato, il fanatismo religioso, il presunto e ipocrita egualitarismo sociale fondato sul consumo. E’ molto più appagante e rassicurante prendersela coi più deboli: con chi ha perso il lavoro, con chi è sottomesso, con chi non ha più nulla. Le sue parole, dunque, hanno riesumato in me questi ragionamenti. Magari risulteranno, ad un occhio più esperto, riflessioni assurde, incoerenti o addirittura errate; tuttavia, solo mi sono balzati in mente e non sono riuscito  più a scrollarmeli di dosso.

Ecco, allora, che da questa mia euforia mentale, nasce un unico interrogativo: che ruolo deve avere la figura dell’intellettuale nella nostra società? Se, come riteneva Gramsci, ogni grande rivoluzione è frutto di un immenso movimento culturale, quali principi, quale ideologia gli intellettuali hanno il dovere di trovare?

Questo è il problema che le pongo. Spero che queste mie domande non si rivelino solo vane farneticazioni. In ogni caso, le porgo non solo il mio grande saluto, ma anche il mio più profondo ringraziamento per avermi fatto scoprire un altro modo di leggere il nostro mondo.

Davide Consonni

 


Cara Dacia,

mi presento rapidamente: sono una ragazza di 17 anni e mi piacerebbe diventare una scrittrice.

Fin dall’infanzia mi sono appassionata alla lettura e intorno agli 8 anni ho iniziato a scrivere racconti, che condividevo con insegnanti e parenti. Crescendo, ho sviluppato la tendenza a riservare ciò che scrivevo – non più racconti, bensì riflessioni e brevi poesie – a pochi e rari lettori. Il motivo di questo cambiamento è forse in fondo al mio inconscio e non lo conosco, ma so che, nonostante io abbia il desiderio di essere capita, preferisco tenere privati i miei pensieri per il momento. Mi ha molto colpito una frase che ha pronunciato all’incontro con noi studenti del 7 ottobre, ovvero che uno scrittore può essere letto in tanti modi; credo infatti che, sebbene attraverso le parole un autore voglia comunicare un messaggio preciso, chiunque ne venga a contatto possa trovare un significato e un’interpretazione personale, derivati da esperienze pregresse, che vanno oltre l’originaria intenzione dello scrittore. Durante l’incontro inoltre, sono stati affrontati temi che ritengo molto importanti per la nostra formazione e di cui spesso si parla in maniera superficiale, come la figura della donna e il suo ruolo nella pubblicità. Il nostro sistema è ormai più occupato a diffondere immagini e concetti al solo fine di un guadagno, che non a sensibilizzare i giovani e renderli più consapevoli della realtà in cui vivono. Mi sta a cuore questo problema perché mi sento colpita in prima persona, come penso molte altre, dagli stereotipi che si sono affermati riguardo la donna. Negli anni scorsi, in particolare durante il passaggio dalla scuola media a quella superiore, mi ritenevo troppo diversa e a volte non adatta poiché non rientravo in determinate categorie. Adesso riconosco che questo mio sentirmi inadeguata era sbagliato, ma sono d’altronde convinta che quei messaggi negativi abbiano contribuito ad alimentare le mie preoccupazioni e quelle di altri ragazzi. Dovremmo imparare a valorizzare quelli che consideriamo i nostri punti deboli e trasformarli in trampolini di lancio; a questo proposito , penso alle vicende narrate nel bel romanzo “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, in cui la disabilità della protagonista può sembrare un ostacolo insormontabile. Ho trovato invece che attraverso di essa il suo personaggio si sia sviluppato in maniera completa, con parole che derivavano da una riflessione interna e solitaria, non da un’impulsività del carattere o da fretta nel rispondere. Lavorando in classe mi sono resa conto che la maggior parte dei dialoghi è frutto di conversazioni scritte, non di discorsi diretti orali. Credo che così si affermi il potere della parola, il desiderio di scegliere con cura quali utilizzare, anche per descrivere in modo delicato momenti forti, ed il tentativo di non sprecare le parole, di imparare a comunicare realmente senza inganni retorici, come spesso invece avviene. Questo libro mi ha insegnato che, in ogni situazione, è necessario scavare, a volte anche dolorosamente, nel fondo di noi stessi, per comprendere e riportare la verità dei fatti e la realtà, nelle sue complicazioni e sfaccettature più varie.

Non so se riuscirò mai a realizzare il mio sogno o se continuerò a riservare la mia scrittura a poche persone, sono però sicura che farò maturare tutti gli insegnamenti ricevuti dalla lettura per riuscire a restituire il più fedelmente possibile ciò che ci circonda e ciò che invece si può cogliere solo con l’anima.

La ringrazio per averci dato molti stimoli e uno spunto importante di riflessione.

Con affetto e stima,

Letizia Zarcone

 


 

Carissima scrittrice,

mentre il mio sguardo si posa sulla copertina de “La lunga vita di Marianna Ucrìa” ripenso al nostro incontro di qualche giorno fa. Le confesso che non avevo mai visto una numerosa platea di studenti così assorta e attenta durante una conferenza nella Grand’Aula del nostro liceo. Le sue parole sono state preziosi “granelli di sabbia destinati a diventare perle”. Ha risposto a molte domande, dall’attualità alla scrittura, cercando di sciogliere dubbi e dare consigli a chi oggi, come noi, si trova a vivere in una società in cui ogni valore sembra ormai perduto. Leggendo il suo acclamatissimo romanzo storico “La lunga vita di Marianna Ucrìa” , la Sicilia settecentesca da lei descritta mi è sembrata avere molti aspetti in comune con il mondo odierno: l’incomunicabilità e l’omertà della società siciliana, il desiderio di omologarsi agli altri ed infine il ruolo della donna. Naturalmente anche durante il nostro incontro non è potuta mancare la domanda riguardante il femminismo. La sua battaglia a favore delle donne e dei loro diritti è molto nota e apprezzata, per questo anche da parte mia c’era curiosità nel sapere cosa ne pensasse a riguardo. Il personaggio di Marianna mi ha affascinato sin dalle prime righe de romanzo. Questa figura femminile all’apparenza così fragile , possiede coraggio e tenacia capaci di raggiungere, anche in silenzio, il cuore di tutti. Marianna comunica i suoi pensieri scrivendo dei bigliettini grazie al particolare scrittoio, dunque le chiedo: per lei ha più valore la scrittura o la parola?Avrei voluto porle questa domanda durante l’incontro ricollegandomi al suo intervento sul linguaggio e il servilismo linguistico. In effetti la salvaguardia dell’italiano dovrebbe partire proprio da noi giovani, dalla nostra quotidianità. Accolgo anch’io la sfida che ha lanciato al mio compagno Andrea e spero che il progetto di “italianizzazione” dei termini stranieri possa essere portato avanti da tutta la mia classe e sia d’esempio ai ragazzi italiani. Inoltre ho condiviso moltissimo il suo pensiero a proposito dell’importanza  dei luoghi letterari. Anch’io ogni volta che leggo, mi sento trasportata nei luoghi della narrazione. In particolare durante la lettura di romanzi fantasy o di fantascienza, luoghi inesistenti diventano reali nella mia mente. Tuttavia ritengo che viaggiare fisicamente risulti ancora l’esperienza più affascinante e istruttiva. Il contatto con nuove culture, abitudini e lingue  arricchisce la persona e la sua esperienza nella società… e lei infatti ha viaggiato in tutto il mondo sia per lavoro sia per piacere!

La ringrazio per i preziosi insegnamenti e per la dedica che conserverò gelosamente insieme ai ricordi del nostro breve ma intenso incontro.

Nella speranza che si potranno presentare altre occasioni per intrattenersi con lei, la saluto con affetto e stima.

Martina Lauria

 


Cara Dacia,

non sono abituata a scrivere a qualcuno che non conosco personalmente; adoro scrivere lettere a coloro che mi stanno a cuore per poter confessare quello che rappresentano per me e, nonostante l’unico contatto che io abbia avuto con lei sia stata solo una stretta di mano, sento di conoscerla e di avere tanto da dirle. Lei mi affascina. Glielo dico così, in modo schietto, perché è la verità. Avendo avuto l’occasione di leggere la sua biografia, ho potuto scoprire tante informazioni sul suo passato che, oltre ad avermi colpita, mi hanno fatto capire quanto lei sia forte: ha avuto il coraggio di dar voce alla sua sofferenza e non ha temuto alcuna discriminazione, non ha avuto paura di esprimere se stessa o di dire la sua su qualsiasi argomento. A tale proposito, in occasione della sua visita al liceo A. Volta di Como, avrei voluto avere il tempo di chiederle in che modo, nel suo libro ‘La lunga vita di Marianna Ucrìa’, lei sia riuscita a rendere così bene il mutismo, tanto da farlo provare al lettore. Ha conosciuto una realtà del genere vicina a lei, o è riuscita, attraverso la sua esperienza personale, a tramutare l’impossibilità di dire la propria opinione per le donna del periodo che lei tratta, in una vera e propria disabilità fisica? ‘La lunga vita di Marianna Ucrìa’, purtroppo, è l’unico suo libro che ho letto, ma mi è piaciuto davvero molto. La ammiro tanto come scrittrice perché ha la capacità di far capire al lettore esattamente ciò che lei vuole dire. Dopo una prima impressione “esterna”, se così si può dire, ho avuto la fortuna di incontrarla e l’ho apprezzata fin dal primo momento. Mi ha colpita in modo profondo il fatto che lei si sia posta sul nostro stesso piano: in primis, poiché, vedendomi, mi ha stretto la mano per presentarsi (anche se, probabilmente, non ricorda nemmeno il mio volto: ma io ricorderò questo momento emozionante per tutta la vita) come se lei, scrittrice di fama internazionale, avesse piacere a presentarsi ad una qualunque alunna di una qualunque scuola di Como; inoltre era così naturale e spontaneo il modo in cui, ogni volta che qualcuno faceva una domanda, lei, nel rispondergli, ripeteva più volte il suo nome, proprio come se fosse una conversazione tra amici; sì, una conversazione, perché lei non ha fatto quest’incontro per rispondere alle nostre curiosità, ma per poter avere un dialogo con noi e questo è di un’importanza straordinaria, perché dimostra quanto lei sia con i piedi per terra e pronta al confronto con chiunque, non solo con esperti del settore, ma anche con dei ragazzi qualunque.  Durante gli anni ho incontrato parecchi scrittori che non cercavano un dialogo e ho sempre desiderato che lo facessero, perché quando leggo un libro che mi piace, mi sento capita dall’autore e diventa per me una figura di riferimento, anche se non lo conosco personalmente; perciò, se ho la possibilità di incontrarlo, ho il desiderio che egli non deluda le mie aspettative. Lei, senza alcun dubbio, non le ha deluse. Avrei voluto che quell’ora non finisse mai; qualunque argomento trattava, lei lo riempiva di entusiasmo e non solo diceva la sua opinione personale, ma lo contestualizzava in modo che tutti potessero sentirsi parte del discorso.

Ho apprezzato particolarmente quando ha detto che i suoi luoghi preferiti sono quelli letterari e che le appartengono, condivido tantissimo il suo pensiero sul fatto che leggere ci trasporti in altri luoghi e tempi, operando una sorta di distaccamento della realtà. Qualche anno fa, ho iniziato ad avere il desiderio di diventare una scrittrice per poter essere per altri quello che alcuni autori sono per me: punti di riferimento che mi fanno sentire capita, che sanno come rendere a parole sensazioni che io non so spiegare; ma, grazie a lei, ora  ho capito che vorrei fare la scrittrice anche per restare, come lei, con i piedi per terra nonostante il successo.   Lei ha detto che ci sono scrittori che muoiono e scrittori che restano in vita anche dopo la morte del corpo, a causa della grandezza delle loro opere. Lei sarà sicuramente tra i secondi.

Grazie per quello che mi ha lasciato.

Monica Crippa

 


Cara Sig.ra Maraini, le scrivo portando nel cuore il dialogo avuto in occasione della sua visita alla nostra scuola. In questa circostanza mi sono sentita particolarmente in sintonia con lei, a livello emotivo ed empatico, specialmente quando ha esposto il suo parere sull’ attuale condizione della donna.

Ha insistito, durante l’ incontro, sul fatto che il nostro genere, seppur legalmente e teoricamente pari a quello maschile per diritti, è di  fatto vittima di soprusi e discriminazioni. La nostra persona è spesso banalizzata, costretta in categorie, lesa nella sua dignità, soprattutto quando si mercifica il nostro corpo. Nella società odierna essere donne non è affatto facile. Spesso ho come l’ impressione che da noi ci si aspetti ciò che nessun soggetto libero sarebbe disposto ad accettare e meno di quanto saremmo in grado di fare. Esemplificativo è il fatto che i telegiornali, riguardo alle vittime di femminicidi, non menzionino mai il loro impegno sociale, i loro pregi caratteriali, i loro affetti o i successi lavorativi. Tutto ciò che viene detto, e che in fondo molti si aspettano, è “ Era bella”, come se questo potesse bastare a descrivere la complessità di una persona. I mass media tendono quindi a stereotipare l’ immagine femminile, veicolando l’ idea che una ragazza può ottenere un riconoscimento o avere successo solo mettendo in mostra il proprio corpo. Frequentemente non si considera una donna per i talenti che possiede, ma per quanto della  sua fisicità e di se stessa è disposta a svendere. Questo mi delude molto e mi sconforta il pensiero che un uomo,a prescindere, sia sempre collocato in una posizione superiore rispetto a una donna.

Nei suoi lunghi anni di esperienza in ambito editoriale lei stessa ha accusato il paradosso culturale che vede molte autrici impegnate nella scrittura, ma poco presenti nelle antologie scolastiche. Mi chiedo se ha mai percepito, anche nei suoi confronti, questa diffidenza. Ha dovuto rinunciare a qualche progetto che le stava molto a cuore perché il suo editore, o altre figure professionali, l’ hanno sottovalutata in quanto donna?

Nonostante i pregiudizi e le contraddizioni che hanno caratterizzato la nostra epoca, ha lottato con tenacia per affermare un’ immagine femminile forte e indipendente. E’ stata in grado di riabilitare e risarcire , in parte, il genere femminile. Alla fine i suoi sforzi sono stati coronati da un pubblico riconoscimento ed è stata in grado di affermarsi come scrittrice, nel panorama culturale italiano, e come donna. Che consigli darebbe a una giovane che vuole intraprendere un cammino di autorealizzazione? Dovrebbe privilegiare maggiormente le proprie abilità  e la propria creatività nel lavoro o dedicarsi completamente alla famiglia nel ruolo di moglie e madre? Fino a che punto è giusto sottrarre tempo all’ uno e all’ altro aspetto? Le mie domande, forse troppo insistenti, nascono dal desiderio di trovare il mio  posto nel mondo in quanto giovane donna e rispondere a quesiti esistenziali, che penso ogni ragazza si ponga.

A questo proposito, sarebbe utile che nelle scuole si proponessero più dialoghi con donne affermate in diversi settori lavorativi, per orientare le studentesse nelle loro scelte future. Chissà che un giorno il nostro incontro con lei non possa essere considerato l’ ispiratore di questo progetto didattico.

Voglio concludere questa lettera esprimendole la mia riconoscenza, perché con il suo lavoro è stata in grado di dare voce a chi non l’ aveva e portare colore nell’esistenza di molte donne. E come lei stessa ha detto, il colore dà vita e senso ad ogni cosa.

Spero di ricevere presto una sua risposta e di rivederla, se ci sarà occasione.

La saluto con affetto,

Valeria Caspani

 

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