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Premio internazionale di letteratura Città di Como

Consigli di scrittura dalla giuria del premio, parla Laura Scarpelli

Come valutare un testo? “I criteri  che si adottano quando si seleziona un lavoro di scrittura come editor, cioè come un tecnico, sono gli stessi che valgono in sede editoriale:  ciò che leggo può essere pubblicato? Può  trovare potenziali lettori interessati?”. Parola della giurata Laura Scarpelli, milanese di nascita ma toscana di origine, che si occupa di editing presso una grande casa editrice e mette a servizio del Premio la sua lunga esperienza e la sua conoscenza dei testi e della loro produzione. “Alla fine – prosegue – il grande giudice è il pubblico, cioè la comunità che ti legge. Tutto si gioca sulla possibilità che il lettore sia arricchito dall’esperienza della tua scrittura. Invito a riflettere su quanto diceva la grande Marguerite Yourcenar:  ciò che ho scritto deve far vedere e sentire a chi legge ciò che da solo non avrebbe sperimentato mai. Il punto è questo.  Quindi come criterio di valutazione c’è la capacità di far emergere nel testo un messaggio forte che dia un senso allo scritto. Conta cioè la visione, l’idea d’insieme”.

Ma non basta il contenuto, per quanto forte sia. “No di certo – prosegue Laura Scarpelli – e su questo sono molto ferma e determinata nelle mie scelte: quello che tu scrivi deve avere una leggibilità generale, una tenuta, una fluidità narrativa costanti, e naturalmente l’assoluta correttezza dal punto visita dell’ortografia e della sintassi, nonché della proprietà lessicale. Ben venga l’innovazione anche estrema, se ha dietro un’idea forte, ma non possiamo e non potremo mai venire meno alle regole fondamentali dell’espressione. Spesso contenuti anche ottimi sono mortificati da una sciatteria nell’uso del linguaggio che spesso si riflette anche nella punteggiatura, che a volte pare proprio utilizzata in modo casuale e senza criterio. Va detto però che anno dopo anno la qualità dei testi che arrivano al premio “Città di Como” è cresciuta costantemente tanto che la giuria ha sempre più difficoltà a selezionare la rosa dei finalisti”.

Dove va oggi la narrativa italiana? “Il filone del giallo che ha prodotto punte di eccellenza come Carofiglio, Marco Vichi e De Giovanni regge ma non ha più lo slancio iniziale. Purtroppo la nostra letteratura fatica ancora a varcare i confini e a imporsi nel mondo anglosassone, il caso di Elena Ferrante è un po’ una eccezione”.

E quanto conta frequentare un corso di scrittura? “Il corso più importante è quello che fai ovunque e in qualunque situazione: leggere, leggere e ancora leggere. I corsi, ciò detto, sono utili per appropriarsi con meno difficoltà degli strumenti del mestiere, le tecniche che un autore ancora acerbo deve conquistare. E poi i corsi possono darti una verifica oggettiva del tuo lavoro. Ma quello che conta è crescere in autonomia. Torno alla Yourcenar che è uno dei miei autori di riferimento: prima i libri li costruiva nella testa, solo dopo, quando era giunta a un livello soddisfacente, li metteva sulla carta. Le scuole, oltre a darti un inquadramento sul mondo della scrittura e sul mondo editoriale in generale,  danno un aiuto per i paletti che vanno messi sul percorso, per mettere a fuoco la regia, i campi spaziale temporali (parlo soprattutto per il romanzo): a che punto deve uscire il colpo di scena, come meglio strutturare l’impianto narrativo che non deve mai avere momenti di confusione o dare adito a dubbi; il lettore deve capire dove va a finire ciò che sta leggendo. Un buon scrittore riesce a mantenere costante o addirittura ad accrescere tale livello di attenzione”.

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