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Premio internazionale di letteratura Città di Como

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Il coraggio poetico di Giovanna Cristina Vivinetto

“Quando nacqui mia madre / mi fece un dono antichissimo. / Il dono dell’indovino Tiresia: / mutare sesso una volta nella vita”.

Si leggono versi come questi nel libro che viene presentato in fascetta come “rivelazione dell’anno”, esaurita la prima edizione in un mese e al vertice delle classifiche di vendita della poesia.
Il diario di una transizione, dal corpo in carne e ossa al corpo linguistico del testo come ha scritto “La Stampa” che ha sconfitto i tabù, e vuole mettere a tacere i benpensanti retrogradi non sul loro terreno di becera virulenza ma con la forza vivificante della parola poetica.

Dacia Maraini, che fa parte della Giuria del Premio “Città di Como”, ha scritto lo scorso anno la prefazione al volume di poesie “Dolore minimo” edito da Interlinea di Novara nella collana diretta da Franco Buffoni, il toccante romanzo in versi della giovane poetessa transessuale Giovanna Cristina Vivinetto.
Un libro che ha scatenato polemiche da parte dei più oltranzisti conservatori, e ricevuto insulti su Facebook, ma per fortuna ha anche aperto un dibattito sul ruolo della letteratura nella società, su temi forti e che si temevano confinati in soffitta come impegno, solidarietà, condivisione.

Ne è nato un caso che l’autrice saggiamente non alimenta prestandosi a sterili polemiche preferendo girare l’Italia per presentare il suo libro alla comunità degli appassionati di poesia e di scrittura ottenendone lusinghieri plausi.
Perché anzitutto questo è il suo libro, una testimonianza di vita ma attraverso la parola, frutto come scrive Maraini della “fatica di essere madre di se stessa”, diario di un radicale rinnovamento e che ha madri nobili come Virginia Woolf e Amelia Rosselli.

Non un “j’accuse” alla Zola, non uno sberleffo, non un atto eversivo come già ce ne furono (pensiamo alla vicenda del comasco Mario Mieli di cui  Marsilio pubblica La gaia critica. Politica e liberazione sessuale negli anni settanta. Scritti (1972 – 1983).

Qui siamo dentro il perimetro di un laboratorio che infrange i tabù con la forza liberatoria, energica e dolce al contempo della poesia.

“Il suo continuo essere e non essere quel corpo, vedersi diventare a poco a poco un’altra persona, la gioia, la sorpresa e anche il senso di vuoto di quella nuova nascita, Giovanna Cristina Vivinetto ce lo racconta col ritmo serrato e affascinante della sua dolente lingua poetica” ha scritto Dacia Maraini.

E in una intervista Vivinetto ha affermato: “Il germe benefico che ispira la poesia è la poesia stessa. Quando ho iniziato a scrivere le poesie che poi sarebbero confluite in Dolore minimo, infatti, avevo ben impresse, nel cuore e nella mente, le suggestioni derivanti dalla lettura dell’opera omnia della poetessa polacca Wislawa Szymborska (La gioia di scrivere, Adelphi), premio Nobel per la Letteratura nel 1996. In particolare, di lei mi colpì la straordinaria capacità poetica di toccare argomenti profondissimi con una leggerezza disarmante. Compresi che la grandezza della Szymborska risiedeva proprio nel sapere arrivare a tutti, suscitando una riflessione profonda, partendo da un dato quotidiano, anche banale. La mia scommessa è stata voler realizzare una poesia che partisse da un dato personale (la transessualità) e, attraverso la versificazione, riuscire a renderlo accessibile a tutti.”

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