Articolo di Andrea Vitali
Il confinamento, lockdown per chi preferisce l’inglese, le misure restrittive, la sospensione di attività professionali tra le più varie: non la faccio lunga ma insomma tutte le misure più o meno drastiche con le quali ci siamo e ci stiamo confrontando in questi mesi, mi hanno permesso di riallacciare rapporti con un vecchio amico.
L’amico ritrovato, si potrebbe dire, ma senza alcun sentore di tragedia come nel romanzo di Uhlman. Anzi, perché con lui ho condiviso gli anni più belli, e anche un po’ stupidi, della gioventù, quelli in cui dentro di noi permane ancora un residuo del senso di infantile onnipotenza e il doversi calare nella realtà pare faccenda di secondo piano. Poi la vita ci ha diviso, frase un po’ enfatica ma non saprei come altrimenti dire che ci siamo allontanati dovendo raggiungere i rispettivi obbiettivi.
E’ il suo quello che conta di più in queste righe, poiché ambiva farsi fotografo ma non di matrimoni o foto tessera. Fotografo di grandi eventi, sportivi e non. Tra i primi, la vela. E tanto ci ha dato che infine ci è riuscito, così che ora è uno dei fotografi più richiesti in questo campo.
Ma il virus ha impedito anche a lui per lunghi mesi di andarsene di qua e di là, confinandolo nel paesello e consentendomi così di ritrovarlo. Anche se sembra banale dirlo lo spirito di quei tempi sciocchi ma divertenti è balzato fuori all’istante, come uno di quei gioppini che, spinti da una molla, fanno capolino non appena si apre la scatola dentro la quale sono stati chiusi. Un bagno di gioventù con qualche trascurabile differenza quale, valga per tutti, i capelli un po’ bianchi ( più i suoi che i miei ). La parentesi si è chiusa, temporaneamente mi auguro, qualche giorno fa quando è partito per la Nuova Zelanda, paese che stenterei a individuare anche con sotto gli occhi la cartina del mondo, dove finalmente può riprendere il suo lavoro.
Certo deve sottostare alle regole del momento: tampone e quarantena. Quest’ultima mi ha fatto impressione: quattordici giorni chiuso in una camera d’albergo, solo e con un’ora d’aria a disposizione da trascorrere praticamente sotto scorta. Non so come, ma quando mi ha messo al corrente di ciò che lo attendeva mi sono ricordato di quanto avevo letto nel libro di Pietro Dettamanti, edito dal Centro Interuniversitario di ricerche sul “ Viaggio in Italia “, intitolato “ Viaggio al Lago di Como- Letterati e viaggiatori dell’ottocento sul Lario “.
Riguarda l’avventura occorsa a Mark Twain nel 1867 quando in qualità di corrispondente si imbarcò per una crociera che aveva lo scopo di far conoscere ai viaggiatori il vecchio continente e la terrasanta. Tra le tante tappe di quel viaggio ci fu anche una piccola sosta dello scrittore sul lago di Como e segnatamente nella sua “ perla “, Bellagio. Ora, come riferisce l’autore del volume, il buon Twain vi giunse già di malumore, o comunque non esattamente ben predisposto verso di noi se è vero che annota come “ deformità e donne barbute sono in Italia troppo comuni per destare attenzione “.
Ma non sa ancora cosa lo aspetta in quel di Bellagio, sorta di quarantena ante litteram visto che in quell’anno il territorio lariano era interessato da una forma di colera asiatico che aveva provocato già centinaia di decessi. Quando il nostro scende sulla riva viene immediatamente preso in consegna da poliziotti e, come lui stesso riferisce, chiuso in una cella di pietra insieme con gli altri compagni di viaggio. Chiuso in quel buco privo di luce e finestre, dove non circola nemmeno un filo d’aria, lui e gli altri subiscono un processo di fumigazione allo scopo di eliminare l’eventuale presenza del mortifero batterio.
Quando ne esce, vivo ma puzzolente, Twain è irritatissimo e la sua penna diventa ancora più graffiante contro gli italiani. Perché non badare più all’igiene dei luoghi e della persona onde scongiurare il colera, si chiede ? Perché, scrive “ parecchi membri delle classi più umili preferirebbero morire piuttosto che lavarsi…”. Per fortuna il successivo soggiorno in albergo, la vista di lago, monti e ville, lo riconciliano con il luogo. Quando ho raccontato questo aneddoto al mio amico avevamo sotto gli occhi un novembrino tramonto di rara bellezza. Volevo farlo sorridere e invece siamo rimasti lì, a guardare e basta.
Andrea Vitali